Il battesimo del fuoco della cavalleria sabauda avviene durante le guerre di fine Seicento – inizio Settecento, combattute tra le nazioni europee per il predominio in Italia. Queste campagne, facendo muovere i primi passi verso la libertà e l’unità degli italiani, determinano la riunione di quasi tutto il Piemonte alla Savoia e l’annessione della Sicilia (1713), mutata poi (1719) con la Sardegna. In queste guerre i reggimenti di cavalleria hanno modo di distinguersi in vari combattimenti, concorrendo con il sangue dei loro uomini migliori, ad una sempre maggiore indipendenza dallo straniero. Appare significativo ricordare alcuni episodi che vedono agire la cavalleria in maniera determinante e indicano il sorgere e l’affermarsi di talune tradizioni giunte fino ai nostri giorni. Durante l’assedio di Torino da parte degli ispano-francesi, durato ben cinque mesi (maggio – settembre 1706) la cavalleria, guidata personalmente dal duca di Savoia Vittorio Amedeo II, conduce un’abile azione diversiva per distogliere le truppe assedianti dalla capitale, favorirvi l’ingresso dei rifornimenti, galvanizzare le popolazioni piemontesi che nel passaggio delle proprie truppe trovano motivo di risollevazione morale e materiale. E’ una tattica temporeggiante in attesa dei rinforzi alleati condotti dal cugino Eugenio di Savoia, al cui arrivo si inizia l’attacco alle posizioni ossidionali franco-spagnole. Infatti, la mattina del 7 settembre, dopo che il tiro delle artiglierie e lo scontro delle fanterie hanno fiaccato la resistenza nei trinceramenti avversari, l’azione decisiva avviene con lo sfondamento frontale e l’aggiramento parziale delle forze nemiche da parte della cavalleria. Durante questa azione vittoriosa i Dragoni di S.A.R. si lanciano, al grido del duca “a moi mes dragons!” sul più minaccioso reggimento di cavalleria francese, che si trova nei pressi di Madonna di Campagna e lo costringono ad una fuga precipitosa, catturando anche i timpani (tamburi da sella) del reggimento avversario, che costituiscono simboli di altissimo valore per oltre un secolo. Grazie a questo successo, Vittorio Amedeo II può piombare direttamente alle spalle dei francesi che ancora resistono validamente nei pressi di Lucento, determinandone la fuga precipitosa verso la Dora. Sempre nella stessa battaglia avviene un altro fatto singolare. Secondo la leggenda, un portaordini di “Savoia Cavalleria”, incaricato di recare informazioni sull’esito vittorioso dello scontro, pur gravemente ferito alla gola da un drappello avversario, riesce a raggiungere Vittorio Amedeo dandogli la notizia prima di spirare. L’esclamazione del duca: “Savoye bonnes nouvelles” diviene da allora il motto del reggimento, così come si vuole che il filetto rosso che borda il bavero nero dello stesso reggimento, o per talune epoche, come l’attuale. la cravatta rossa, non sia altro che il simbolo del sangue che ha arrossato il colletto del portaordini, rimasto ignoto. La cavalleria si distingue inoltre nella battaglia campale di Guastalla del 19 settembre 1733. In essa si ritiene sia originato il grido di guerra “Savoia” delle truppe piemontesi prima, italiane poi, durato oltre due secoli. Esso porta in sé tutta la forza, la potenza e la tragedia di un popolo in armi. Composto da tante voci, elettrizza ed unisce tanti uomini, nonché i loro cavalli: tutti quelli che combattono per la stessa giusta causa, contenendo, in un contrastante connubio, amore ed odio. Appare l’anima stessa della patria per la quale generazioni di cavalieri sono andati incontro alla morte, urlando nell’aria come un’ultima sfida. Al Tidone, affluente del Po presso Piacenza, il 10 agosto 1746 un distaccamento di cavalleria, composta da 100 uomini di ciascuno dei reggimenti Dragoni di Sua Maestà, Dragoni di Piemonte e Savoia Cavalleria, in sette cariche successive, sbaraglia 1’avversario, catturando armi e bandiere all’avversario e meritando 1’apprezzamento di alleati e nemici. Queste lotte, per quanto meno cruente di quelle religiose del Seicento, sono dispendiose e sanguinose più di quanto le possano far apparire le incipriate parrucche e le sofisticate uniformi del tempo. Il periodo di pace che si instaura alla metà del Settecento permette all’esercito e con esso alla cavalleria di mettere a frutto le esperienze acquisite nel lungo guerreggiare, di perfezionare istituzioni e ordinamenti sorti sotto l’impulso frenetico degli avvenimenti. Nascono i regolamenti, testi organici concernenti ogni settore della vita e delle attività militari; nel campo più proprio della cavalleria sorgono i primi depositi di cavalli per le rimonte, assai utili per l’approvvigionamento equino in regioni come l’Italia ovunque povere di tali preziosi animali; si dà maggiore e più razionale impulso all’ equitazione. Si perfeziona l’uniforme che in questo periodo comincia a rendere tutti i soldati eguali tra loro, distinguendoli, peraltro per arma, corpo e grado. Caratteristiche dell’epoca la trasformazione del bicorno in tricorno, l’uso di giubbe colorate di rosso o di blu per distinguere i dragoni dalla cavalleria. Nel settore dell’amministrazione, della logistica e della disciplina si danno regole più precise, si organizzano i servizi logistici sia pur rudimentali; si hanno le prime caserme (case d’armi), si impiantano i campi durante le manovre e per le esercitazioni in campagna, si costruiscono le piazze d’armi per gli esercizi in città. Alla metà del Settecento si assiste ad una serie di riforme, troppo spesso solo formali, sovente copiate dall’estero, secondo una moda provinciale italiana che ritiene migliore ciò che fanno gli altri eserciti, senza curarsi di capire lo spirito ed il carattere degli altri popoli, tanto diversi gli uni dagli altri. E così influssi ed esempi stranieri trovano facili e convinti ammiratori ed imitatori di cose che, trasportate fuori dall’humus culturale e storico di origine, risultano vuote di contenuto e non giovano ad altro che a snaturare le qualità proprie dell’esercito e del popolo piemontesi allora, di quelli italiani oggi. Sullo spirito marziale, sempre presente nell’esercito del vecchio Piemonte, si innesta una pericolosa debolezza disciplinare, frutto dello scontro di due diversi gruppi, i conservatori ed i riformatori. All’immobilismo delle istituzioni che evolvono solo in superficie, in aspetti prevalentemente esteriori, si oppone una corrente di idee rinnovatrici, sviluppata nei ranghi meno alti, tendente a modificare le cose in profondità. Da questo contrasto, nonché dalla carenza di validi capi militari, derivano le disgraziate sorti del conflitto di fine secolo tra le teste coronate d’Europa – tra cui quella del re di Sardegna – e la Francia dei sanculotti che si battono col furore della disperazione per difendere le conquiste ideali e ma- teriali della rivoluzione. Dopo quattro anni (1792 – 1796) di stanca guerra condotta prevalentemente in montagna, sulle Alpi, con la cavalleria in larga parte appiedata per le caratteristiche negative dell’ambiente geotopografico, si giunge al 1796. In quest’anno per l’impulso determinato dal nuovo giovane comandante delle forze francesi, dal nome italiano di Napoleone queste conseguono il risultato favorevole di separare le forze alleate austro-sarde. E’ contro queste ultime che tra il 19 ed il 21 aprile Bonaparte avventa la sua armata, obbligandole a ripiegare verso nord ed aprendosi la strada per Torino. Ed è questo punto che interviene la cavalleria, l’arma decisiva delle ore critiche e disperate, posta a protezione delle fanterie in ripiegamento. Contro di queste Napoleone ha lanciato la sua 1° Divisione di Cavalleria, comandata da un valente generale, Enrico Stengel e composta di cinque reggimenti, uno dei quali agli ordini dell’allora cittadino colonnello Murat. Con un movimento aggirante, essa tende al fianco delle truppe sarde, esauste per la fatica ed in temporaneo bivacco. Ma due squadroni dei Dragoni del Re, dislocati nei pressi del Bricchetto di Mondovì, agli ordini del colonnello Chaffardon, caricano con slancio i cavalieri francesi, cogliendoli in un momento di crisi determinata da un tardivo tentativo di cambiare formazione e direzione, e li sbaragliano. Il generale Stengel viene ferito a morte nello scontro violentissimo. Nell’ardore della lotta il cornetta Roberti di Castelvero, rotta la sciabola, usa l’asta dello stendardo per colpire quanti nemici gli capitano a tiro. Per il fatto d’armi Vittorio Amedeo III, ritenendo che “una sola non sia sufficiente a premiare tanto valore”, conferisce ben due medaglie d’oro . L’episodio è particolarmente significativo anche per il fatto che è uno dei pochi combattimenti in cui la cavalleria napoleonica viene sconfitta. Le cause dell’esito dello scontro possono essere rilevate, oltre che nei già citati errori di manovra dei francesi anche nell’indubbio valore dei Dragoni del Re. Il reggimento che circa 35 anni dopo si denominerà “Genova Cavalleria” è l’unico, in tutto l’Esercito Italiano, decorato di due medaglie d’oro per lo stesso fatto d’arme ed è il solo che celebra la sua festa di corpo nella ricorrenza di una data addirittura anteriore all’epopea risorgimentale per la risonanza avuta, per i valori che l’impresa in sé racchiude. La guerra, comunque, si conclude con la vittoria napoleonica. La cavalleria viene progressivamente ridotta a quattro reggimenti, denominati Dragoni Piemontesi, poi disciolti, per l’annessione del Piemonte quale dipartimento alla Francia, mentre parte del personale va a costituire due reggimenti di cavalleria francese (21° Dragoni e 26° Cacciatori) che seguono, fino all’epilogo, le sorti delle aquile napoleoniche, distinguendosi per bravura, su tutti i campi di battaglia d’Europa. E’ comunque la fine di un’era, scompaiono le incipriate parrucche, gli appuntiti tricorni, escono definitivamente dalla storia anche taluni reggimenti sabaudi. Gli altri risorgono e scrivono le affascinanti pagine dell’unità nazionale degli italiani.
Campagne di guerra prerisorgimentali |
GUERRA DELLA LEGA DI AUGUSTA 1690/97 |
GUERRA CONTRO LA SPAGNOLA 1701/13 |
GUERRA CONTRO LA SPAGNA 1718/1 |
GUERRA DI SUCCESSIONE DI POLONIA 1733/36 |
GUERRA DI SUCCESSIONE D’AUSTRIA 1742/48 |
GUERRA FRANCO PIEMONTESE 1792/1796 |
GUERRA AUSTRO, RUSSO – FRANCESE 1799/1800 |